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sabato 14 marzo 2015

I migliori dischi del 2014 secondo me

Eccoci finalmente arrivati al consueto appuntamento con la classifica annuale, ossia con i 15 migliori dischi che ho ascoltato nell'anno appena passato. Quest'anno ho deciso di escludere parecchi nomi tra cui Black Keys, Caribou, i Blonde Redhead, Afghan Wings e i Wild Beast sia a causa della mia pigrizia sia poiché credo che di alcuni di questi ne farò prima o poi una piccola recensione dedicata. Ovviamente questa classifica si basa sui dischi che ho ascoltato e che, ovviamente, non sono tutti.

15) Real Estate - Atlas 
(indie rock, pop rock)

Rilassate melodie pop in un'atmosfera placida e rilassata, il conforto del sole in un pomeriggio primaverile. Una quiete ammaliante e rassicurante, fatta di fresche chitarre che si intrecciano per creare eleganti e spensierati motivi mai banali. La voce di Courtney suscita una sorta di tepore seducente, ci carezza e ci conduce verso lidi eterei e sognanti, onirici. Forse non resterà nel vostro lettore a lungo, ma è comunque un'ottima colonna sonora per una calda estate fatti di ombrati tramonti in riva alla spiaggia.





12) Blood Red Shoes - Blood Red Shoes (indie rock)

Riff incisivi e ritmiche veloci, suoni stridenti e i 90' sempre nel cuore. Il duo inglese ci propone un rock aggressivo fatto di suoni fuzzosi e di ritmi cadenzati, il tutto ammicca alla scena di Seattle ma questa viene rimessa in discussione e, per certi aspetti, rielaborata. L'alternanza tra le due voci, una più tagliente ed energica mentre l'altra all'apparenza più gracile e delicata, crea una gradevole effetto vocale che certo aiuta la longevità del disco; questo non basta però, il disco sicuramente intrattiene e diverte ma, a lungo andare, mostra il suo maggior difetto, ossia la mancanza di un vero cavallo di razza, di un brano che resti davvero impresso, che ci faccia ricordare del disco quando questo non sarà più nel lettore.



14) Paolo Nutini - Caustic Love (soul, gospel, funky)

Devo dire la verità, mi sono avvicinato a questo disco in punta di piedi, conoscendo molto poco dell'artista in questione e del suo background musicale. Ingenuamente mi aspettavo un song writing di matrice folk, invece sono stato inondato da una varietà di generi e sottogeneri, tutti profondamente radicati nella formazione black tipicamente americana; si passa quindi con facilità da brani che diffondono energia positiva a brani più riflessivi e pacati, il tutto è costantemente impregnato di chiari riferimenti soul, gospel e funky, gli spunti sono talmente palesi che non c'è neanche bisogno di nominarli; il tutto però sembra essere studiato alla perfezione, fa battere i piedi e ci fa divertire, non inventa ma rielabora in modo personale e soggettivo. Sicuramente un disco da ascoltare per gli appassionati di voce graffianti, di fiati e di cori gospel con pochi 'hallelujah' e di un easy listening vario ed energico.



13) Cloud Nothing - Here and Nowhere Else 
(noise rock, hard rock)

Il precedente 'Attack on Memory' mi aveva letteralmente conquistato, veloci riff post-hardcore conditi da variazioni post-rock e testi degni del più depresso Thom Yorke, il tutto suonava sporco ma, per certi aspetti elegante e mai banale. Entrava pian piano in circolo e restava per settimane, per mesi. Proprio per questo il primo approccio con questo 'Here and Nowhere Else' è stato destabilizzante, otto brani col piede sull'acceleratore senza nessun sosta o un cambio di ritmo, sonorità cupe e caotiche che riescono perfettamente ad incanalare il senso di rabbia di Baldi e compagni. Quelli che nei primi ascolti erano i principali difetti del disco diventano nel tempo i veri protagonisti, il senso di apatia inizia ad affascinarci, il chaos sonoro ci seduce, il binomio perfetto tra velocità e melodia ci strega e ci conquista. Un disco quindi che non lascia tregua, pochi i momenti in cui si può riprendere fiato, veniamo letteralmente trasportati da una frenesia hardcore e vagamente punk che ci percuote e ci ferisce; un disco sicuramente da ascoltare per gli appassionati del genere o per i nostalgici di gruppi che ormai andati.



11) Against Me! -Transgender Dysphoria Blues 
(rock, punk rock)

Ci vuole coraggio Laura, tanto coraggio. Ad accettare sé stessi e la nostra vera identità, a combattere quotidianamente contro le incomprensioni e la sofferenza, contro la paura di non essere accettati e contro la solitudine. E ci vuole anche pazienza, tanta pazienza, ad accettare gli sguardi incuriositi e le facili battute, a sopportare l'ipocrisia delle persone che ti accettano davanti ma ti ridono dietro, a diventare l'unico vero argomento di discussione di molti. Ma sopratutto a diventare improvvisamente popolare non tanto per la propria musica, quanto per la propria natura. Liriche usate come sfogo liberatorio quindi, condite da una sincerità e schiettezza disarmante, il tutto adagiato su solide strutture punk rock a volte abrasive e corrosive, sempre però provocatorie ed intelligenti. Una sessione ritmica di livello risolleva i brani anche nei momenti più deboli, il tutto scorre con facilità divertendo e facendo pensare, si arriva con facilità alla fine del disco. Il tuo messaggio è arrivato forte e chiaro, ne sono certo.


10) Foo Fighter - Sonic Highways 
(rock, hard rock)

Kurt forse aveva paura di diventare quello che è Dave adesso, una star internazionale che riempe gli stadi e che è in grado di influenzare generazioni di più giovani. Fatto sta che Dave ha sempre portato avanti la sua carriera con onestà e correttezza, cadendo poche volte nella trappola del mainstream rock e dei ritornelli facili di stadio, ha raggiunto le masse senza mai abbassare il capo e rimanendo sempre fedele alla sua linea e alla sua concezione di rock. Dave propone dischi ambizioni e ogni volta il tutto sembra perfetto, senza nessun passo falso o caduta di stile; stavolta un album inteso come un viaggio, che lo fa percorrere le strade della sua tanto amata America, la quale gli ha dato tanto ma ha anche preteso tanto. Ogni viaggio porta in una città e in ogni città una canzone, ogni canzone porta collaborazioni, contaminazioni, emozioni contastanti ed esperienze vissute; un rock di matrice classica, canticchiabile e patinato, a volte banalotto ma indubbiamente di qualità e onesto. Forse Kurt aveva semplicemente paura di non essere in grado di essere quello che è Dave è diventato, aveva paura di non avere la sua forza ed il suo carattere. Forse.



09 Jack White - Lazaretto 
(Blues, blues rock, alternative rock, alternative rock)

Continuo a dire quello che ho sempre detto su Jack White, ossia che quest'uomo ha un talento innato, ogni cosa che tocca diventa oro e ogni suo disco riesce in qualche modo a stupirci, ad affascinarci. Poi ovviamente i gusti sono soggettivi ma la qualità è e deve restare oggettiva; una carriera cosi variegata e una discografia con una qualità tale è difficile da trovare in chi ha meno di 40 anni, riesce con facilità a spaziare e contaminare generi cosi diversi che partono dal blues old school fino arrivare a riff degni del più ispirato Jimmy Page, il tutto è condito dalla sua eclettica personalità e dal suo estro creativo senza rivali. Il cantato resta veloce e incalzante, i testi sono criptici e taglienti, gli omaggi e i riferimenti sono in ogni dove, la diversità dei generi dei singoli brani mostra a pieno la sua vigorosa vena creativa ed eccentrica personalità; insomma, Jack White supera ancora una volta l'esame a pieni voti e si conferma uno degli artisti più interessanti dell'ultimo decennio.



08) Beck - Morning Phase 
(folk rock)

Primo mattino, il sole che entra dalla finestra, siamo ancora assopiti ma inondati dalla luce. Troviamo le forze, pian piano ci alziamo e restiamo un attimo appoggiati al letto, contemplando il mare di luce che entra dalla finestra. Le lenzuola disfatte, accanto a noi non c'è nessuno e possiamo prenderci un minuto, il tutto è calmo e pacato, senza nessuna fretta. Riflettiamo su quello che siamo e su quello che siamo diventati, sulle nostre forme e sulle nostre maschere, sulle poche persone realmente importanti. Se avessimo un'altra possibilità ci comporteremmo allo stesso modo? Sembra tutto molto confuso ma in realtà è tutto molto chiaro, non è mai stato così chiaro. Giungiamo finalmente ad una conclusione, quella conclusione che dentro di noi abbiamo sempre saputo ma faticavamo ad accettare. È ora di reagire di prendere in mano la nostra vita e di provare ad essere felici. È finalmente ora di alzarsi dal letto.


07) Spoon - They Want My Soul (indie rock)

Strano il mondo dell'indie rock, un mondo dove coesistono band che bruciano come un fuoco di paglia ma hanno ingiustamente una folta schiera di seguaci e band più sfortunate che, seppur dimostrando il loro valore disco dopo disco, non ottengono mai un seguito di ascoltatori degno di nota. Gli eterni sottovalutati quindi, i quali però continuano però a stupire per la freschezza dei suoni e delle idee, stanno al passo con i tempi e sorpendono con perfette sessioni ritmiche minimali, un pizzico di elettronica e un tocco di lo fi. Britt Daniel e compagni vanno diritti al punto, creano brani allo stesso tempo scarni ma mai troppo spogli, ripetitivi ma mai troppo ridondanti, tendenzialmente rock ma ammicanti al pop. I brani viaggiano coesi verso un unica direzione, pochi sono i passi falsi e il tutto scorre via facilmente, si arriva al capolinea a suon di accordi elementari conditi da bassi intensi, sembra che giochino ed improvvisino su temi semplici per poi esplodere in ritornelli orecchiabili che restano impressi. Mentre questo disco potrebbe essere il capolavoro della vita per altre band, per gli Spoon è semplicemente una ordinaria uscita che conferma nuovamente il loro talento e la indubbia qualità delle loro opere.


06) Interpol - El Pintor
(indie rock, rock)

Amosfere decadenti e alienazione, echi di wave anni settanta, romanticismo e malinconia. Momenti rarefatti ed intangibili mostrano a pieno la paura di rimanere indifesi davanti allo scorrere del tempo, siamo soli e resteremo soli, per sempre. Abbiamo svelato tutto noi stessi alla persona amata, ci siamo concessi completamente e tutto questo ci ha reso inermi, siamo in balia del nostro amore e non ci resta che aspettare disarmati. Suoni tremolanti, riverberi e riff graffianti accompagnano storie di trepidazioni e inquietudini condite da un romanticismo rivisitato in chiave moderna e decadente, il tutto risulta un denso concentrato di emozioni e di eleganza notturna e raffinata. Anche se calcano un po'troppo la mano sempre sulle stesse soluzioni e sulle stesse sonorità, Paul Banks e compagni riescono a riemergere da due dischi deludenti, si reinventano in un'altra forma e riescono ad alternare con gusto momenti più pacati ed intimi a momenti più dinamici e lineari. 


05) Swans - To be Kind 
(noise rock, post rock, industrial)

Nenie ripetitive e ritmi ossessivi, un saliscendi di emozioni e di stati d'animo, finiamo per sgretolarci per poi ricomporci in modo confuso, casuale. Veniamo prima coccolati da litanie dal retrogusto acido per poi venire scaraventati al suolo da ritmi tribali ed ossessivi, ci ritroviamo con il volto schiacciato contro il suolo mentre iniziano ad affiorare le prime immagini disturbanti; quelle che prima pensavamo essere delle semplici cantilene adesso sono delle creature dalla forma malsana, malata e disturbante, inizia a subentrare un senso di inquietudine e un fastidio diffuso, l'agitazione diventa evidente e il nervosismo è ormai palese. Prima ci coccolano e poi ci deridono e ci umiliano, prima ci fanno mettere a nostro agio e poi ci tormentano, le atmosfere dilatate dell'inizio vengono sostituite gradualmente con situazioni  più cupe e nichiliste, il petto inizia a stringere a causa del senso d'ansia, si è creato un circolo vizioso dal quale è difficile uscirne. Insomma, le esperienze sonore migliori non è detto che siano quelle più piacevoli.


04) The War On Drugs - Lost in the Dream
(indie rock, shoegaze)

Per crescere e maturare artisticamente bisogna abbandonare i pesi morti e lasciare indietro chi, anche se ha avuto un ruolo importante nella nostra vita ed evoluzione artistica, è rimasto ancora ancorato ad un concezione troppo tradizionale di folk rock, non condivide più con noi la nostra stessa vena sperimentale, non è più sulla nostra lunghezza d'onda e si guarda troppo indietro e troppo poco avanti. Lasciato quindi alle spalle il capitolo Kurt Vile, Granduciel e compagni raggiungono la piena maturità artistica e la consapevolezza di loro stessi e delle loro capacità, riprendono il vecchio folk americano di Tom Petty e lo contaminano con sonorità più ampie e fluide, approdano con facilità in lidi shoegaze psichedelici dai contorni poco definiti per poi ritornare ad un indie rock di stampo più classico dove ogni cosa è precisa e strutturata. Il tutto risulta quindi essere un prodigio di equilibri, passato e futuro, sogno e realtà, stabilità e sperimentazione; è inoltre l'elogio alla semplicità, poche e semplici melodie che creano come una sorta di flusso permeato da testi romantici e nostalgici, un'altalena di sensazioni e di emozioni, una corrente che ci trascina con facilità e ci fa, anche se per un attimo, dimenticarci dei nostri problemi e delle nostre difficoltà.


03) Future Island - Singles (synth-pop, new wave)

Un sapiente riuso del passato, un tuffo in quello che è stato e tanta tanta nostalgia. Bassi vibranti che fanno da base a tappeti di sintetizzatori, suoni rotondi e plasticosi che creano efficaci ritmi ballabili ed orecchiabili, il tutto per narrare di eterne dichiarazioni d'amore, del calore della persona amata e della solitudine data dalla sua assenza. Anche se tutto questo può risultare datato e superato, l'opera strega e incanta e, in men che non si dica il "già sentito" viene messo da parte, si iniziano a canticchiare spontaneamente le melodie ed il tutto inizia ad entrare lentamente in circolo. La grande, grandissima interpretazione vocale di Herring dà all'opera un valore aggiunto, riesce a farci percepire il suo tormento e il suo strazio alternando con disinvoltura momenti più intimistici a momenti più graffianti, si resta ammaliati dal suo carisma e dalla sua presenza sul palcoscenico. Si viene conquistati anche grazie alla sua duplicità, cane bastonato e cuore infranto da una parte e spirito disinibito, bestia da palcoscenico e frontman pirotecnico dall'altra; insomma, i Future Island sanno vendersi e lo fanno in modo onesto, a suon di passi di danza istintivi, buone melodie pop estive e tanta tanta personalità. Consigliati.


02) St Vincent - St Vincent
(elettronica, alt pop)

Estro creativo, personalità ed evoluzione. Una musica senza schemi, seppure inquadrata in definite strutture pop. Suoni sghembi, sintetizzatori radioattivi, accenni di krautrock mista a musica 8 bit e chitarre all'apparenza fuori tempo si incastrano con gusto riuscendo a creare una complessità strumentale che, per quanto strano, risulta accessibile e leggera. Una convivenza perfetta tra semplicità, ricercatezza sonora, un pizzico di pretenziosità e tanto tanto azzardo; galleggiamo in un mare di vibrazioni sonore, di facili melodie pop dalla presa facile, dall'alternarsi di momenti più concitati a vere e proprie ballate coinvolgenti. Vengono mescolati con talento ed intelligenza sonorità vecchie e nuove, le parti ritmiche vengono frantumate per poi venire ricomposte pian piano, le liriche stravaganti e ambigue rendono i brani ancora più eccentrici e bizzarri, il tutto risulta fresco, divertente e di facile ascolto. St Vincent riesce quindi a trovare nuovi utilizzi per le ormai datate strutture del pop, le rielabora nel suo stile e apre nuovi vie ancora inesplorate, consolida il suo ormai riconoscibile stile e fa da apripista per generazioni di band future. 

01) Mastodon - Once More 'Round The Sun  
(hard rock, progressive metal)

Ci affascina ciò che non possiamo capire, ciò che, per quanto osserviamo attentamente, resta comunque sorprendente e misterioso. Il sole visto come qualcosa di divino e di eterno, possiamo solo contemplarlo ma non riusciremo mai a sfiorarlo. Tutto quello che siamo lo dobbiamo a lui, la sua energia ha imbevuto il nostro spirito e le nostre carni e ci ha, per certi aspetti, nutrito. Sembriamo volteggiare a folle velocità intorno a questa creatura di dimensione smisurata, le fiamme ardenti sono vicine ma non ci sfiorano, le immagini sono distorte e confuse ma non possiamo non godere di ogni attimo di questo viaggio. Mentre ci allontaniamo le atmosfere diventano più lente e pacate, siamo ancora veloci ma le immagini inziano ad essere più chiare e definite, anche se l'adrenalina è ancora molto alta stiamo piano piano tornando in noi stessi e tutto inizia a sembrare cosi evidente, cosi palese. Abbiamo affrontato l'ignoto e ne siamo usciti vincitori, anche se siamo esausti siamo finalmente rinati. Possiamo finalmente voltarci indietro e guardare con occhi diversi quello che prima ci intimoriva e ci sgomentava ma, d'altronde, questa è la chiave di tutto, la chiave della nostra vita; "non è mai troppo tardi per voltarsi indietro a guardare il sole".

martedì 25 novembre 2014

Spiritual Beggars - Ad Astra


2000 - Stoner Southern Metal - Voto 8/10

Fresche chitarre distorte, influenze southern e spensieratezza. Proprio quello di cui avevo bisogno.


lunedì 22 settembre 2014

Paradise Lost - Draconian Times


1995 - Gothic Metal - Voto: 9/10
Dopo gli esordi death/doom, i Paradise Lost aggiungono progressivamente più melodia nel loro stile e arrivano nel '95 alla pubblicazione di questo ottimo lavoro, il quale mostra anche una grande attenzione ai dettagli in fase di songwriting: ogni passaggio strumentale è perfettamente calibrato; nessuno strumento prevale sugli altri o sulla voce; la chitarra solista spesso, durante i versi, si atteggia quasi a seconda voce; un disco metal realizzato con una cura quasi degna del pop.
I testi mi fanno pensare a quell'oscurità che alberga nei pensieri di chi ha bisogno di essere aiutato, ma nonostante tutto può ancora superare il dolore.
Se poi siete in uno stato d'animo malinconico non potrete resistere al fascino di questo disco.

mercoledì 26 marzo 2014

On Fire - Galaxie 500



Ho scoperto i Galaxie 500 a ben 22 anni dal loro scioglimento. Ventidue anni praticamente buttati.

Per la recensione del loro secondo album (su tre) On Fire, vero e proprio faro e punto di orientamento per tantissimi musicisti della seconda metà degli anni '90, vi rimando a quanto potete trovare in rete.

Mi concentrerò in questa sede a spiegarvi perché ve lo consiglio e perché, se siete nati tra il 1975 e il 1990,  non potete non conoscere e ammirare questo disco.

Perché ve lo consiglio:
- come nei Talking Heads e nei Sonic Youth, al basso c'è una gentil donzella: Naomi Young. Fidatevi che le donne al basso spaccano.

- dietro alle salmodie canore e ai riff di Dean Wareham si sentono forti e vicini i Velvet Underground.

- la batteria di Damon Krukowski scandisce inesorabile la strada che porta dall'entusiasmo yuppie degli '80 alla malinconia depressa e introspettiva dei '90.

- il gruppo prende il nome da un'automobile degli anni '60: la Ford Galaxie 500 

- Blue Thunder, Tell Me, When Will You Come Home, Isn't It A Pity sono brani che durano il tempo di un battito di ciglia ma dentro i quali vi perderete e rimarrete imprigionati in un attimo che dura un eone. Garantito

- la cover di Ceremony. Una versione del brano dei Joy Division/New Order che lascia senza fiato, né riposo, né pace mentale.

Perché se avete tra i 40 e i 25 anni non potete non conoscerlo e ammirarlo:
On Fire ha suggestionato e istruito UNA CIFRA di nomi influentissimi della scena indie dei due decenni successivi: Low, Xiu Xiu, The Brian Jonestwon Massacre, Sonic Youth, The Submarines, British Sea Power, Pavement, Grandaddy, Portastatic, Liars, Sebadoh, Teenage Fanclub, Slowdive, Hefner solo per citarne alcuni.

Sì, ok, e allora? Allora i Galaxie 500 e il loro incredibile On Fire li troverete un po' dovunque a partire da pochi anni dal loro scioglimento. Se faceste una lista dei vostri artisti indie preferiti, in ognuna delle vostre liste ci sarebbe almeno un nome che è in debito con i Galaxie 500. 

Seminale. L'aggettivo che meglio descrive On Fire

Se non ve lo sentite da soli in stanza con le serrande socchiuse, allora da consigliarvi ho soltanto qualcosa di Scialpi o al limite i Lunapop.


Voto: 9,5

martedì 18 febbraio 2014

Believer: dal Thrash Metal al Progressive (in nome del Signore!)

*consigliami un gruppo!*
A chi mi conosce potrà sembrare strano che io consigli una band d'ispirazione cristiana, ma abbiate fiducia: la musica che andrò a descrivere merita attenzione al di là delle tematiche, per come è suonata e per come gli argomenti sono esplorati e resi all'ascoltatore.

(parentesi autobiografica
Ho anche molti preziosi ricordi legati a questo gruppo, ero un 18enne che voleva solo comporre thrash metal e avevo in questo intento, maturato un sogno a metà con una persona speciale, tant'è che da quando è scomparsa non ho più trovato qualcuno che mi stimolasse a portare avanti quel sogno. 
Dopo aver ascoltato i Sepultura di Beneath the remains e Arise, i Metallica di And Justice for all, a 16 anni, mi sono votato anima e corpo al genere, per anni. Insieme a "Dirt" e "Facelift" degli Alice in Chains, "Bonded by blood" degli Exodus, "Altars of Madness" e "Blessed are the sick" dei Morbid Angel, "Sanity Obscure" (specialmente) e "Extraction from mortality" dei Believer completai le mie influenze per iniziare un viaggio all'interno del sound che volevo, un viaggio tragicamente interrotto troppo presto e proprio sul più bello. 
Dedico questa recensione a Stefano, indimenticato.
fine parentesi autobiografica).


Diavolo VS acqua santa

Questa band fa breccia specialmente per le intenzioni, il cuore, le scelte stilistiche, il coraggio: perché si, al tempo ci voleva più coraggio e faccia tosta a presentarsi come "metallari evangelici" che cavalcare l'onda anticristiana/satanista, che imperversava a fine anni '80, fatta di cartucciere e pentacoli nel nord-europa, e di caproni e squartamenti nella famigerata Bay Area californiana.
E poi effettivamente ci vuole un bel fegato nel restare lucidi nella propria sofferenza esistenziale, all'interno delle crisi di valori generazionali, restare lì e provare a farsi un'idea.
Paradossalmente la lezione dei Believer sta proprio in questo: mettersi in gioco. Sia nel presentarsi a una giovane età a un pubblico altrettanto giovane, che si aspetta sesso, droga e rock'n'roll (penso alle critiche agli Anthrax dopo Among the living) sia nell'insegnare loro che si può essere sé stessi anche quando il bisogno di appartenenza spinge verso l'aggregato sociale (il metallaro, il discomane, il cristiano, il glamster, il punk) che per definizione è rigido, se non addirittura "dogmatico". Ed è proprio questo ultimo caso che interessa di più i Believer, specie perchè contrasta fortemente con "il metallaro", figura all'epoca solennemente stigmatizzata dal credente medio.

Una curiosità: questo dominio esiste da un secolo e costituisce una grande risorsa sul metal http://www.nolifetilmetal.com/believer.htm .
Curato da un vero appassionato, quando internet iniziava a giungere in città era l'unica vera risorsa su molti gruppi non proprio "mainstream" insieme a Maximus Metallus.
L'improvvisato webmaster era "caduto" in uno di quei movimenti cristiani super-super che gli lavarono il cervello a tal punto da fargli dar via in tronco TUTTA la sua collezione di album rock (molti dei quali - sigh - in vinile). Per fortuna poi si è ripreso, trovando una "via di fede più bilanciata" se non ricordo male... a voi i commenti...

Believer: Extraction from mortality (1989)



Il duo Kurt Bachman-Joey Daub, entrambe intenti a suonare rispettivamente chitarra e batteria fin dalla più tenera età, inizia la propria avventura discografica così: il disco è un muro sonoro, dritto in faccia, punto.
Così parte, così finisce e sta bene così (non aspettatevi altro qui). Si parla di duo in quanto come vedremo si avvicenderanno diversi musicisti, ma il cuore e la firma dei Believer proviene dai testi e dalla voce di K. Bachman e dalla furia batteristica di J.Daub. Qui assistiamo a un thrash piuttosto scarno, che non aggiunge troppo a quanto già detto fino ad allora in tema, da altre band più famose (vile hypocrisy, not even one). Da notare che il cantante VOMITA, non canta! E ciò è maledettamente un bene! Spiccano le chitarre accordate più basse di come era in voga. Se si dà un'occhiata ai testi possiamo trovare ispirazioni bibliche come nota a margine di tutti i pezzi. Originale, per il genere, non c'è dubbio. La violenza sonora è omicida, la velocità arriva a bpm che sfiorano il grind più sociopatico in "blemished sacrifices".
La title-track è una perla evangelica, ornata di archi nella intro, che sentenzia "non conformarti al male, conformati a Dio, O MUORI". Le argomentazioni sono ancora acerbe e tagliate con l'ascia, ma parliamo comunque di giovani al debutto, che ne escono a mio parere a testa più che alta, con un disco che trascina ma che potrebbe annoiare i più. Ascoltate "Stress" e rimanete stupiti del già emergente bisogno eclettico d'espressione dei giovani, che strizza molto l'occhio agli Anthrax di State of Euphoria, aggiungendo dei break molto in stile Police.

Avrebbe meritato una registrazione più clemente, specie per valorizzare la batteria.

Voto: 8


Believer: Sanity Obscure (1990)



L'anno successivo ci porta la seconda fatica discografica dei nostri bravi ragazzi thrashettoni.
Qui i nostri giocano di più col sound, parimenti violento ma più oscuro e dissonante: cosa c'è di peggio che l'inferno espresso da chi lo rifugge? Si aggiungono più cambi di tempo, più stop & go, migliora la prova gastrico-vocale di Kurt e quelle che erano solo ispirazioni, divengono vere e proprie citazioni, spesso parlate, dai testi sacri. E tutto questo cambiamento è chiaro fin dai primi cazzutissimi momenti del lato A.
Vengono sperimentati arpeggi e groove in "Nonpoint". Il tema della droga, viene affrontato in modo un po' parodistico a mio avviso, in "Stop the madness" che se non altro verrà inserita in un singolo di promozione radiofonica insieme alla cover degli U2 "Like a song" presente anche a chiusura di questo album.
Veniamo alla perla incontrastata che stacca nettamente tutte le altre canzoni, su tutti i parametri:
DIES IRAE (Day of wrath). Qui ancora più archi, che però restano durante tutta la canzone, oltre che nella stupenda intro. Probabilmente seminale questo brano per il "metal sinfonico", a maggior ragione per l'aggiunta di una soprano che canta in LATINO.
Vi farà scapocciare, fino a sanguinare dal naso, è di quelle canzoni che ascolteresti tutto il giorno.

La registrazione è leggermente migliore del precedente, così come il disco nel suo complesso, pur non distaccandosi troppo (a livello cronologico e quindi anche compositivo) dal precedente LP. Comunque un disco che - doverosamente contestualizzando - rispetto ai pietosi canoni di registrazione moderni, suona!

Voto: 8,5 (darei anche di più per motivi affettivi)


Believer: Dimensions (1993)



Approdiamo al 1993,
la mia "dolce metà" musicale adorava in particolare questo album, e come dargli torto?
Questa produzione a distanza di 3 anni risulta molto più credibile dei precedenti lavori. Viene introdotta una registrazione meno impastata. Migliora un po' tutto nel complesso, anche se è più opportuno parlare di "sterzata" verso un "techno-thrash" che sfocia nel progressive e nel sinfonico. Presenti anche qui orchestra e soprano. Grande miglioramento dei testi, dall'umore ancora più introspettivo. Perchè parlo di credibilità? Per l'apertura meno dogmatica dei testi rispetto al passato. Restano le citazioni e le ispirazioni alla bibbia, ma non solo, si aggiungono trattati di psicoanalisi, teologici, esistenziali (date un'occhiata al testo di Dimentia, una delle perle che segnalo). Tempi dispari, controtempi, dissonanze, suoni e umori (dis)turbati, corde che esprimono un profondo tormento, la visione di possibili altre, ignote, "Dimensioni". Eppure nulla mi pare mai eccessivo in questo disco.
No apology è uno dei pezzi più thrash, pur non restando canonicamente "thrash": è convulsa e da bene l'idea della complessa "ricerca" spirituale coerente e sincera che ferve in Kurt.
La trilogia sinfonica finale, narra la storia biblica di Cristo.
Un capolavoro, a tratti forse ostico e ossessivo per i più, una manna dal cielo per me.

Di dischi e band ingiustamente sottovalutate, ce ne sono tante. Chi ha interpretato il techno-thrash: Dark Angel - Time does not heal, col grande Gene Hoglan dietro le pelli, gli Holy Moses con New Machine of Liechtenstein; chi si è nascosto un po' nelle imitazioni (Laaz Rockit - Nothing'$ $acred somiglia ai Testament, Paradox - Heresy sono i Metallica teutonici); ma questo album, costituisce qualcosa di indiscutibilmente seminale per il tempo, a mio avviso.

Voto: 9


Separazione e ritorno

La band si scioglie nel 1994.
Nel 2005 il duo Bachman-Daub annuncia l'attesa per la ricostituzione della band.
Il 2006 segna l'anno del ritorno in studio, con nuovi musicisti schierati.
Nel 2009, con ben 2 anni di ritardo rispetto a quanto annunciato, la band pubblica il quarto LP di inediti.

Believer: Gabriel (2009)



Cosa aspettarsi dopo 11 anni lontani dalle scene? Di Kurt non si sa molto, mentre Joey ha continuato a suonare nei Fountain of Tears. Ebbene uno dei pochi ritorni davvero ben riusciti. Sono stato abituato a grandi cose nelle reunion thrash dopo molti anni di silenzio (si veda Tempo of the damned degli Exodus). Per la direzione intrapresa già dalla band verso la metà degli anni '90, non viene immediato urlare al "miracolo": bisogna secondo me guardare a questo album come un banco di prova per il ritorno. Un riassunto del passato dei Believer condensato in un "encore", un bis per dire "siamo quì, sappiamo fare metal emozionandovi, e non abbiamo dimenticato le nostre ricette più riuscite".
Ciononostante, ascolto dopo ascolto, mi scopro a innamorarmi di questo album, che non aggiunge troppo al passato, rimoderna il sound con scelte opinabili (leggi moderne) e lascia trasparire un Kurt più aperto, meno esplicitamente dogmatico, genuinamente poetico a tratti.
Proprio per non averlo ascoltato troppo, evito di indicare un voto.

Le opinioni di chi leggerà, di chi ascolterà, saranno come sempre preziose.
Buon ascolto, alla prossima!

sabato 8 febbraio 2014

I migliori 18 dischi del 2013 secondo me

Eccoci arrivati al consueto appuntamento con la classifica annuale, ossia i 17 migliori dischi che ho ascoltato nel 2013 appena passato. Non ne sono presenti alcuni dischi degni che, anche se meritavano una mini-recensione, non ho inserito per motivi di pigrizia e perché non riuscivo a decidere il loro effettivo posto in classifica;  mi dispiace quindi per Mikal Cronin, per i Franz Ferdinand, per gli Okkervil River e per i Letlive che non rientrano in classifica solo a causa della mia accidia. Come al solito questa classifica è strettamente personale e si basa sui dischi che ho ascoltato che , ovviamente, non sono tutti.

NC) Arcade Fire - Reflektor
(indie rock, alt rock, dance)

Dopo tutto l'hype e le attese rivolte mi aspettavo il capolavoro, il disco definitivo. Invece siamo di fronte ad un disco che ammicca ma non seduce, l'eccessiva lunghezza mostra a pieno tutta la sua mediocrità, la sua pochezza e la quasi totale assenza di emotività. Hanno forse peccato troppo di ambizione, le opere di bricolage di diversi generi solo in pochi episodi sono raramente riuscite e il tutto sembra uno scimmiottamento della musica pop-dance anni '80.



17) The Fratellis- We need Medicine
(indie rock)

Un disco da ascoltare in macchina a pieno volume, da cantare a squarciagola, una colonna sonora perfetta per feste alcoliche o simili. Un lavoro allegro e frizzante, energico, poco impegnativo e sicuramente godibile in ogni sua nota. Lascia però il tempo che trova in fatto di originalità e consistenza, le influenze sono parecchio evidenti e il tema principale del disco, ossia il cazzeggio, alla lunga risulta pesante. Quando, dopo alcuni ascolti, vi dedicherete ad altro non vi ricorderete neanche una nota.



16) John Grant- Pale Green Ghost
(elettronica, folk, alternative rock)

Una sterzata importante verso nuovi lidi elettronici, uno sguardo indietro verso quello che era il synth-wave anni 80 e tanto tanto coraggio. La maturità artistica e la scoperta della malattia portano John Grant ad avventurarsi in lidi che, nel capolavoro precedente "Queen of Denmark", erano soltanto accennati e malcelati. Il songwriting resta comunque di altissimi livelli, canta le canzoni di un uomo che ha poco altro da perdere ma lo fa con dignità e con un tocco di black humor.



15) My Bloody Valentine - M B V 
(shoegaze, dream pop, noise pop)

Una tempesta di distorsioni, un diluvio di elettricità, un muro sonoro imponente. Kevin Shield e compagni ripropongono e rielaborano lo stesso genere che li ha resi immortali ad inizio anni 90, come se 22 anni non fossero mai passati. Si rimane ipnotizzati dalla montagna di effettistica, dal dettaglio sonoro portato fino all'inverosimile, dalle atmosfere eteree ancora 
inesplorate; il tutto è estremamente rarefatto e impalpabile, stordente. Sicuramente un disco non per tutti, richiede un buon orecchio e una buona dose di concentrazione per trovare il tesoro nascosto sotto la montagna (di effetti).



14) Atom for Peace: Amok
(elettronica)

Quella di Thom Yorke per l'elettronica è diventata una ossessione, una ragione di vita; ha abbandonato ormai da tempo i classici schemi strutturali della canzone, le melodie qui sono scarne ed essenziali, difficilmente riconoscibili all'interno delle fredde ritmiche elettroniche. Un minimalismo elettronico d'avanguardia insomma, condito da nenie vocali e ritmiche dissonanti, dove è il basso a dare la principale vena espressiva, che ricopre il ruolo di 'cuore' nella maggior parte dei pezzi. Un disco che, se si va oltre i primi ascolti che possono far apparire l'opera piatta ed incolore, incanta ed ipnotizza.



13) Biffy Clyro - Opposites 
(indie rock, alternative rock)

Uno scorrere continuo di facili melodie heavy miste a momenti più intimistici e riflessivi, il tutto curato nel dettaglio, con pochissimi riempitivi o sbavature. Nel complesso risulta un disco orecchiabile e radio-friendly, che prende spunto dalla fine  degli anni '90 condendo il tutto con pizzichi di tempi non lineari e ritmi serrati. Il disco della conferma per una grande band la quale ha sempre puntato sulla radiofonicità dei loro brani i quali, sebbene tendano sempre più al catchy e al mainstream, mostrano tutti i limiti della band come la velata indole pop, la troppa omogeneità e la loro costante l'impersonalità.



12) Alter Bridge - Fortess
(hard rock, alternative metal, heavy metal)

Sarebbe troppo pretenzioso chiedere ad un gruppo hard rock, in particol modo se mainstream, di rivisitare e modernizzare un genere come l'hard rock il quale, attualmente, rischia di puzzare di stantio. Eppure gli Alter Bridge ci provano, inseriscono nel loro calderone pizzichi di metal, complicati riff e intricate melodie, non lasciano niente al caso, il tutto è studiato nel dettaglio. Ne risulta un disco dinamico ed ispirato e i brani, anche se per certi aspetti prevedibili, hanno mordente, personalità e mostrano appieno l'ottimo songwriting della band.



11) Artic Monkeys - AM
(indie rock)

Alex Turner ed il suo ciuffo non sbagliano un colpo, la loro indole prolifica non lascia da parte la qualità e ogni opera brilla di luce propria. Nel corso degli anni sono riusciti a creare e a maturare un genere ormai perfettamente riconoscibile, distinguibilissimo all'interno del panorama musicale fatto di rock genuino, ritmi groovy ed influenze blues e r&b. In questo episodio gli AM aprono le loro menti e si lasciano contagiare da altri generi ed influenze, creano la perfetta colonna sonora per notturne uscite in centro e ci narrano di donne ubriache, tecniche di approccio e di leggende da strada.



10) Frightened Rabbit - Pedestrian Verse
(indie rock)

I Frightened Rabbit, ossia gli eterni sottovalutati. Sarà per la loro limitata vena sperimentale o per il loro amore per i ritornelli radiofonici, per la loro propensione a navigare in acque fin troppo conosciute o per la loro continua tendenza a sminuirsi, ma Hutchison e compagni non hanno mai avuto quello che realmente meritano, quello che gli è dovuto. Il loro maggior pregio è che riescono sempre a creare piacevoli melodie dalle tinte pop folk rock, con ispirati testi pungenti e ironici, molto vicini al cantautorato americano di stampo dylaniano. Brani efficaci e diretti quindi, che scorrono facilmente e mettono in mostra un'attenta produzione e un ottimo songwriting.



9) The Strokes - Comedown Machine
(alternative rock)

Gli Strokes provano ancora a rinnovarsi, a cambiare genere. Inseriscono suoni analogici e drum machine, trasformano le chitarre in tastiere, condiscono il tutto con accenni di techno e un pizzico di anni '80. Il disco risulta frizzante e spiazzante, la freschezza nelle chitarra rende il tutto accattivante e ben studiato; nel proseguire degli ascolti emerge però il loro più grande
difetto, ossia l'incapacità di scrivere pezzi che siano davvero consistenti, manca un reale spessore musicale e mancano dei brani che restano impressi.



8) Foals - Holy Fire
(indie rock, math rock)

Sono distanti i giorni in cui regnavano i tempi dispari e le peripezie metriche, adesso il tutto risulta meno intuitivo e più studiato, più maturo. Un disco che riesce a mescolare con eleganza musiche dalle tonalità esotiche alle ritmiche afro, dai mood della canzone popolare ad un math-rock intuitivo e ballabile. I continui cambi di ritmo e di tematiche rendono il disco carico e mai noioso e, anche nei brani più soffusi ed ambientali, spicca una notevole sensibilità ed emotività degna di una band ormai matura.



7) Vampire Weekend - Modern Vampire of the city  (indie rock)

I Vampire Weekend si discostano dal passato e lasciano emergere una vena più initimistica, più matura. Anche se rimangono presenti i ritmi incalzanti afro-pop che li hanno resi tanto celebri, la loro tipica spensieratezza lascia spazio a testi più impegnati che trattano di religione, differenze culturali e stanchezza di vivere. Aggiungono inoltre influenze musicali da diverse culture ed alcuni pizzichi di musica retrò anni '50 dimostrando che, anche se diretta verso nuovi lidi, è comunque presente la voglia di sperimentare e di allargare i propri orizzonti.



6) Queens of the stone age – ... like clockwork
(stoner, hard rock, alternative metal)

Dopo la depressione a causa della sua quasi morte Josh Homme ritorna sulle scene in modo spiazzante ed entusiasmante, i QOTSA alzano il volume e si fanno sentire, il loro è un ritorno in pompa magna, magistrale. Struggenti ballate si alternano in modo egregio a pezzi carichi ed ispirati, i reali riempitivi sono davvero pochi e l'insieme risulta in brillante equilibrio instabile che alterna energia a riflessione, psichedelia a stoner, ribellione a resa. Non mancano inoltre momenti più intimistici e riflessivi,nei quali Homme ci prende per mano e prova a descriverci cosa ha passato, cosa è il buio più cupo e cosa fare per riemergere.



5) Bill Callahan - Dream River 
(folk)

Un disco che non ha fretta, che scorre piano. Bill Callahan ci accarezza e ci culla attraverso la sua inconfondibile voce baritona, ci fa essere i protagonisti del suo viaggio interiore, si spoglia completamente per mostrarci parte della sua anima, del suo io. La malinconia e il disagio sono sempre presenti, ma adesso sono sotto una luce nuova, diversa; ormai non c'è più paura di esporsi, si è raggiunta la maturità e tutte le cose che prima ci turbavano adesso ci scivolano addosso, con leggerezza.



4) Sigur Ros - Kveikur
(post rock, alternative rock)

Una sorta di nuovo inizio, una rivisitazione del passato. Adesso la Natura è aggressiva e pericolosa, feroce, le atmosfere sono frenetiche e gli sprazzi di serenità sono pochi. Cedono un po' della loro magia per suoni più reali e concreti, le melodie rarefatte ed oniriche lasciano il posto a suggestioni immediate che descrivono una Natura vivace e dinamica, in continua evoluzione. Un disco sicuramente più accessibile dei precedenti che riesce a combinare quello che erano a quello che vogliono diventare.



3) Daughter - If You Leave 
(indie rock, alternative rock, folk)

Malessere esistenziale, inquietudine e paura dell'abbandono. Testi che trafiggono l'anima, i disagi ed i pensieri di Elena Tonra ci travolgono e ci disarmano, la sua voce calma ci scuote e ci fa restare pietrificati. Si insinuano i primi dubbi, restano le lacrime su una lettera stropicciata, resta l'abbandono della persona amata e la paura di non potere più riuscire ad andare avanti; la costante e voluta crescita in ogni brano porta l'ascoltatore in bilico tra l'oscuro malessere e gli sporadici sprazzi di luce della serenità, il tutto è un doloroso viaggio all' interno dei nostri sentimenti e delle nostre paure più nascoste.



2) Kings of Leons - Mechanical Bull 
(alternative rock, southern rock, garage rock)

Si dice che una volta toccato il fondo si possa solo risalire. Dopo un tour interrotto, i problemi di alcolismo, le varie liti e un disco deludente, la famiglia Followill si guarda indietro, cerca di capire dove ha sbagliato e ritrova l'ispirazione nel vecchio e sano rock. Un rock autentico, caldo, fatto di sudore e passione, che alterna momenti energici a momenti teneri e sinceri. Un gruppo che ha ripreso in mano le redini della loro carriera e ha mostrato come si possa risalire dal baratro. Stima.



1) The National - Trouble will find me
(indie rock, alternative rock)

Alcuni stati d'animo restano intrappolati nel tempo. Dobbiamo solo prenderne coscienza, trovare la forza di espiarli e provare ad andare avanti. Berninger e compagni ci fanno da guida all'interno dei nostri stati d'animo, si passa dalla gioia dell'innamoramento alla straziante paura della perdita, dal rimorso per i propri errori all'inutilità di vivere nel passato, il tutto condito da una raffinatezza ed eleganza disarmanti, uniche. Sanno essere immediati ma delicati, pacati ma anche irrequieti, fascinosi ed intriganti. Atmosfere malinconiche che portano alla luce la nostra fragilità e la nostra emotività, ci spogliano completamente delle nostre difese e ci fanno apparire per quello che realmente siamo, ossia insicuri e tormentati, nudi ed impauriti, soli.

lunedì 20 gennaio 2014

The Third Eye Center - Belle and Sebastian



Il 2013 ha visto il ritorno di Stuart Murdoch e compagni sulla scena, a 3 anni di distanza dall’ultima fatica Write About Love, che nonostante il successo di vendite sembrava aver smorzato sia gli ardori dei fan di lunga data che le pulsioni giovanilistiche Jeepsteriane della band di Glasgow, che sì erano state messe in riga dalla Rough Trade già dal 2003 (anno di Dear Catastrophe Waitress) ma che con l’ultimo album di inediti sembravano ormai un ricordo lontano.

L’album The Third Eye Centre, pubblicato dalla Rough Trade, si configura come una compilation che raccoglie B-Side (Love on The March, I Took a Long Hard Hook, Heaven in the Afternoon, Stop Look and Listen e altri), bonus tracks (Suicide Girl, Last Trip, Blue Eyes of a Millionaire), versioni riarrangiate di pezzi già presenti nel repertorio dei B&S (I’m a Cuckoo, Your Cover’s Blown, I Didn’t see it Coming), e outtakes da EP (Your Secrets, I Didn’t see it Coming).

Tra le tracce a mio avviso notevoli troviamo:
  • la seconda traccia, una bonus track di Write About Love: Suicide Girl. Il pezzo preferito per chi scrive. Suicide Girl è un vero e proprio documento d’identità di B&S dove è ben evidente l’età raggiunta dal gruppo. Ci si trovano infatti le melodie più tipiche, un ritmo accattivante e sezioni armoniche che se da una parte hanno il marchio di fabbrica B&S, dall’altra riescono, meglio di qualunque altro brano dell’album del 2010, a sintetizzare il sound originario della band con i risultati della loro evoluzione. Bello bello.
  • Last Trip, anch’esso bonus track di Write About Love, pezzo molto più "old-B&S-style" rispetto al precedente. Leggermente riarrangiato rispetto alla prima versione.
  • Il riarrangiamento di Your Cover’s Blown, con sonorità elettroniche quasi new-wave. A parere di chi scrive, molto più accattivante della versione originale.
  • The Eighth Station of the Cross Kebab House, che è così ‘brit’ da farvi venire voglia di fish ‘n’ chips
  • Meat and Potatoes, una ballata leggera, delicata ma allo stesso tempo coinvolgente e con una linea di basso molto 70’s.
  • The Life Pursuit, che insieme al precedente citato faceva parte del singolo (versione CD) di Blues are Still Blue, pezzo tagliente, veloce e con le stesse caratteristiche della linea di basso di Meat and Potatoes,

The Third Eye Centre è la seconda retrospettiva per i B&S, che esce 8 anni dopo la prima, ovvero Push Barman to Open Old Wounds, una fantastica raccolta di EP e singoli usciti per la Jeepster. 

The Third Eye Center raccoglie invece materiale uscito per la Rough Trade, e per i fan di lunga data dei B&S è interessantissimo procedere all’ascolto delle due compilation uno dopo l’altro in progressione temporale. 
Ascoltando i B&S da almeno 10 anni, sono sempre stato dell’idea che il cambio di etichetta abbia conciso con un netto cambio di sonorità, come se Murdoch&soci avessero cambiato qualcosa nella formula magica delle loro melodie, ritmi e armonie. 
Ascoltando le due compilation una dietro l’altra (prima Push poi Third Eye) ho invece avuto modo di ricredermi: B&S non sono cambiati di una virgola, sono semplicemente ‘diventati adulti’ senza rinnegare la loro infanzia e la loro adolescenza.

Se Blender Magazine descriveva Push Barman to Open Old Wounds come "...una collezione di 25 affascinanti storie di ragazze timide che fanno le loro prime esperienze con la fotografia e di ragazzi bibliofili che fanno le loro prime esperienze con le ragazze timide", possiamo ben dire, proseguendo sulla stessa linea, che le affascinanti storie di The Third Eye Centre ci mostrano gli stessi personaggi di prima, ma stavolta alle prese con tematiche e problemi dell'età adulta; meno affascinanti forse, ma più concrete e succose, anche e soprattutto dal punto di vista del sound.

Per concludere, mentre scrivevo queste righe, il buon vecchio Prince Faster mi ha dato una bellissima notizia: Stuart Murdoch in un'intervista ha lasciato trapelare che Belle & Sebastian sono già in studio per registrare il loro nuovo album di inediti, previsto in uscita entro la fine della primavera 2014. Stay tuned!


Voto: 8